Michele, lo scrittore, decise di telefonargli. Trovò il suo numero sulle pagine nere.
«Parlo con il Mostro?»
«Sì».
«Vorrei incontrarti».
«Nessun problema».
«Va bene stasera alle venti in Piazza San Luigi a Posillipo?»
«Conosco il posto. Però preferirei attenderla nel boschetto vicino. Di solito gli automobilisti di passaggio mi lanciano addosso oggetti contundenti e non vorrei che la colpissero».
Michele chiuse la comunicazione e si meravigliò della rapidità con cui il Mostro aveva accettato il suo invito: non gli aveva chiesto né chi era, né lo scopo dell’incontro. Aprì l’armadio. Di solito indossava completi firmati ma, per la circostanza, optò per un look trasandato: jeans e polo. Solo in seguito lo scrittore si rese conto che la Creatura a stento faceva caso all’aspetto dei suoi interlocutori, figurarsi al loro abbigliamento.
Più tardi quando il sole era già diventato rosso fuoco, Michele si inoltrò nel boschetto a ridosso di Piazza San Luigi. Un pino lasciava intravedere tra i suoi rami frondosi l’elegante conca del golfo. Gli uccellini cinguettavano. Una leggera brezza soffiava sulle foglie. Lo scrittore avanzando smuoveva con le scarpe da ginnastica il mondo formicolante del sottobosco. Dalla strada proveniva il rombo dei motori delle auto. Nella piazza adiacente alcuni giovani chiacchieravano a voce alta. Andava cioé in scena lo spettacolo a volte incantevole, più spesso sfibrante, della quotidianità.
Finalmente lo scrittore avvistò il Mostro fermo sul bordo del precipizio. La Creatura imprimeva al corpo un movimento ondulatorio, quasi fosse indecisa se lanciarsi di sotto oppure no. Indossava un lungo mantello nero, la folta chioma bianca gli ricadeva sulle spalle, le mani erano ricoperte da guanti. All’improvviso intonò una canzone:
Tu devi vivermi,tu prova a crederci.
Tu non abbandonare mai
il Mostro che è in te.
E subito il vento si placò. Gli uccellini smisero di cinguettare. Il rombo dei motori tacque. Perfino il movimento del sole all’orizzonte sembrò incepparsi in un fermo immagne cosmico.
Forse si trattava solo di suggestione eppure allo scrittore quella figura oscura stagliata contro l’orizzonte trasmise un forte senso di disagio. Oscuramente si augurò che l’Essere si lanciasse sotto in modo da liberare il mondo dalla sua presenza. Solo così si sarebbe rimesso in moto il formicoliò del sottobosco, il soffio del vento, il cammino del sole.
Poi il Mostro, forse avvertendo la sua presenza, fece per voltarsi e Michele si sentì in pericolo. Se una canzone appena sussurrata aveva interrotto ogni attività vitale nei dintorni, rifletté, cosa sarebbe accaduto se avesse guardato l’Essere negli occhi?
Abbandonò il boschetto. Attraversò la carreggiata e udì di nuovo rombo dei motori, le chiacchiere dei ragazzi. Dall’altro lato della strada osservò le foglie mosse dal vento.
Raggiunse l’auto e accese il motore.
Scese a tutta velocità Via Posillipo, ansioso di tornare a casa.
Arrivato a Via Caracciolo rallentò. Forse si era comportato in modo troppo superficiale, rifletté. Per la prima volta nella sua vita aveva bucato un appuntamento. Lui, un uomo di cultura, era caduto preda della suggestione. Come poteva un essere umano, per quanto mostruoso, fermare il vento, sospendere il flusso del traffico, le chiacchiere dei passanti?
Risoluto a tornare indietro, girò intorno alla fontana di Piazza Vittoria. Intendeva chiedere scusa alla Creatura, spiegarle che era rimasto vittima di un attacco di panico. Era sicuro che lo avrebbe perdonato. Chissà quante volte le erano capitati episodi del genere.
Arrivò di nuovo in piazza, posteggiò l’auto e, giunto nel boschetto, constatò che il Mostro era andato via.
Lo scrittore osservò il sole affondare nel mare e avvertì la mancanza di quella sagoma oscura che, ora se ne rendeva conto, esaltava per contrasto la struggente bellezza del panorama. Senza la sua presenza il cinguettìo degli uccelli, il traffico delle auto e il vocio dei passanti gli procuravano solo fastidio. Lo scrittore, perso nelle sue riflessioni, giunse sull’orlo dell’abisso, proprio nel punto prima occupato dalla Creatura. Dondolò pericolosamente il corpo avanti e indietro. ‘E se mi lanciassi nel vuoto?’ rifletté ‘Smetterei di subire passivamente il fragore fastidioso, fine a se stesso proveniente dalla strada, dal bosco.’ D’istinto, intonò la melodia che aveva sentito cantare dall’Essere:
Tu devi vivermi,
tu prova a crederci.
Tu non abbandonare mai
il Mostro che é in te
E, senza accorgersene si allontanò dall’abisso.
La sua anima, fino a un attimo prima confusa, impaurita, si era acquietata.
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