Il Mostro passeggiava lungo Via Scarlatti portando sotto il braccio il romanzo San Gennaro made in China.
Come al solito la gente si scostava al suo passaggio.
Una mamma pose le mani sugli occhi del suo bambino per evitargli un trauma visivo da cui non si sarebbe mai più ripreso. Quelli che lo avevano già incrociato, vedendolo arrivare, indossarono una mascherina per coprire bocca e naso in modo da non rimanere vittime degli effluvi che esalavano dal suo corpo. I gatti incrociandolo rizzavano il pelo e, più che miagolare, ruggivano.
Il Mostro, come al solito abbigliato di nero, non faceva caso a ciò che accadeva intorno a lui. Ormai ci era abituato. Aveva un po’ di sete e per placarla si accostò alla fontana ornamentale di Tatafiore, la sua preferita, in quanto tutti la giudicavano orrenda.
Abbeverandosi, emetteva stomachevoli gorgoglii e schiocchi di lingua.
A un tratto avvertì una presenza alle sue spalle.
Ritenne che si trattasse del solito disinfestatore che lo seguiva per irrorare con potenti getti di creolina ciò che sfiorava.
Si voltò e disse: «Signore, la prego, aspetti almeno che finisca. Il mio gargarozzo ulcerato, è il caso di dirlo, fa acqua da tutte le parti e per rinfrescarlo occorrono parecchi liquidi».
«Non si preoccupi. F… faccia pure con c… comodo».
Un diciottenne di statura normale, capelli lunghi, labbra sottili, naso autorevole non sembrava mostrare alcuna ripugnanza nei suoi confronti. Inoltre gli umani incontrati fino a quel momento ricambiavano il suo ‘lei’ vintage con un ‘tu’ che significava anche una presa di distanza linguistica. Quel ragazzo no.
L’Essere terminò di bere e il giovane lo sostituì davanti alla cannuccia.
Egli non prese alcuna precauzione igienica come, perfino a parere del Mostro, sarebbe stato opportuno. Ignorò gli strani fluidi colorati che galleggiavano qua e là nella vasca.
Quando terminò, si pulì le labbra con le mani.
Notando il romanzo che il Mostro portava con sè, il ragazzo reagì con un tic che gli fece muovere l’occhio come se ammiccasse.
«Le auguro b… buona lettura, signore» balbettò.
«Non mi chiami signore, la prego. Io sono il Mostro».
«Va bene s… signor Mostro».
«Mi scusi, posso sapere qual è il suo nome?»
«Genny… cioé Gennaro Sc… Scognamiglio».
Il ragazzo andò via e l’Essere si rese conto di avere appena incontrato un tizio che aveva lo stesso nome del protagonista del romanzo appena letto. A rifletterci bene, perfino la descrizione che l’autore ne aveva fatto coincideva in modo sorprendente, balbuzie e tic all’occhio compresi.
L’Essere riflettè che la sua condizione di Mostro non favoriva certo una presa sicura sulla realtà. Ma adesso temeva davvero di aver passato il segno.
Il ragazzo nel frattempo, allontanandosi, estrasse di tasca un libro dalla copertina nera dal titolo ‘Così parlò il mostro’ e lo consultò febbrilmente.
Quando alzò lo sguardo, ammiccò nella sua direzione.
L’Essere si chiese se fosse colpa del tic o se anche il giovane temesse che entrambi fossero come due facce della stessa medaglia, gemelli provenienti dallo stesso utero, personaggi partoriti dalla stessa mente.
Ma naturalmente una simile eventualità andava scartata a priori.
Loro erano persone vive, vere mentre quelli descritti nei romanzi erano solo personaggi di fantasia.